M’ero rotto il cazzo, di gente che mi ricordava d’un passato dove io avrei potuto avere un potenziale, una ragione di vita. Seduto nella stanza scura, pantaloni abbassati alle caviglia, avrei voluto dimenticare il mio nome, i mille piccoli garbugli e responsabilità che la vita mi aveva buttato in faccia, regolarmente, da qualche anno a questa parte, un passato, un’età dell’oro che assomigliava sempre più ad un film, persone, volti e pensieri una volta familiari ora m’apparivano orridamente stranieri, come un incubo, in cui tutto è familiare, ma una corrente subconscia ti porta a temere quelle immagini, a non accettarle, a fuggirne disperato. L’ultimo fetish giapponese lampeggiava e scorreva sullo schermo in streaming, e la mente s’annullava in quella libidine. Perchè, perchè non possiamo vivere sempre come sulla soglia d’un orgasmo, perchè non possiamo superare ogni barriera, e semplicemente perderci nell’attimo presente, e poi in quello futuro, e quello dopo ancora? Ma nulla esiste al di fuori dei nostri confini. Soddisfatto il bisogno, il pensiero s’annulla. Il fronte sconfinato delle possibilità, estrapolato dall’iperbolica trasformazione dell’adolescenza, e situato in qualche tempo futuro, non è solo lontano, non è solo irraggiungibile, ma non esiste. Pulito il misfatto, non potei fare a meno di catturare nella retina l’immagine sconfitta allo specchio. Una incongruenza, qualcosa di sbagliato e perverso dev’essere accaduto. Quell’uomo non sono io, non può essere, conoscerò quel volto che ho di fronte ogni volta che mi rado, giusto? E quando passo nel bagno solo per pisciare, uno sguardo lo dò? Non è mica tutto falso? E i miei amici ancora conoscono il mio nome, e ancora recitano la stessa parte, o mi sbaglio? Loro vedono, e sanno, che sono ancora io, loro sanno cosa amo e cosa detesto, come mi comporto, cosa penso, e addirittura come rispondere alle mie provocazioni. Sono io, Io che scrivo il copione. Cio che si fa e disfa dipende da me, nevvero? E allora perchè mi sento come saltellassi sulla Luna, su superfici e terreni mai visitati, in uno scafandro grossolano e datato, mentre ciò che mi è caro e coloro a cui sono caro rotolano nello spazio a 300.000km di distanza? Come è possibile che in quella sfera blu ancora ci siano danze, risate di fanciulli, e madri, e sorelle, e figlie e amanti? Ora che son qui, cosa cambia? Quella sfera blu che s’appresta a tramontare, avrà ancora spazio? C’è ancora quel graffito sull’albero? Quella scritta sul banco? Quella cassetta di canzoni registrate alla radio? Contano ancora, adesso che son qui? Adesso che nessuno può raccontare la loro storia, che senso hanno? Adesso che la loro storia è solo nella mente d’un pellegrino, in esilio, dove non può nuocere nè rallegrare, rimangono solo oggetti, e persone, non una trama a legarli, non un destino. L’unico legaccio son dati, serie di dati, come la pietra filosofale trasformati in oggetti brillanti, lampeggianti su di uno schermo, ed è su quello che consumo le mie ultime energie, raccolte in un fazzoletto.
Eternauta
martedì 27 aprile 2010
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