Introduzione

Salve a tutti, questo è il progetto di uno spazio a più voci che possa dare luogo a scambi d'opinioni utili per gli autori o che comunque serva a fissare un determinato pensiero "nero su bianco": un taccuino, insomma, per quelle speculazioni che non vorremmo lasciare all'oblio.

mercoledì 15 agosto 2007

Il Volo del Falco

Più volte nelle nostre battute di caccia, il Falco distrattamente captava la lucida superficie del mare, riflettente il suo sguardo acuto e stretto. Talvolta lo notavo, segretamente lo incoraggiavo, ed esso provava sempre più diletto nel volteggiare invaghito tra gli iridescenti fulgori marini, soprattutto nel tempo in cui il sole calava, ed i suoi raggi appena lambivano la superficie dell'acqua. Presto le prede diurne e terrene gli andarono a noia, il sole, a cui prima miravano i suoi voli, gli sembrò, benchè irraggiungibile, troppo vicino, invadente, e le nude creature gli parvero restituire la luce diurna in maniera sempre più prevedibile, meno interessante. La nebbia parve cadere sul suo sguardo acquoso, ogni volta che i suoi artigli si staccavano dall'imbottitura sul mio braccio, temevo mi si liquefacesse, diventando della stessa sostanza del mare. Osservava sempre più di frequente le evanescenti sagome marine e, al suo occhio, divennero col passar del tempo le uniche forme di vita. Ebbe le sue prime vittorie vicino alla riva, e fu come se quei pesci fossero il suo primo pasto. Si spogliò a poco a poco delle penne, incurante dello sguardo indagatore degli altri volatili, riconoscente e quasi sprezzante nei miei confronti. Un giorno la mia vista lo perse sulla linea dell'orizzonte, stetti sulla riva, colpevole, disperandomi e lo aspettai fino al novilunio. Tornò senza far rumore, ebbi quasi l'impressione che fosse stato nascosto sotto la sabbia per tutti quei giorni, in un sadico nascondino, ma guardandolo capii... il suo rigido becco aveva sondato vanamente e a lungo l'informe fluido, alla ricerca di sguscianti forme, e non ne aveva prese... Il suo stretto e acuto sguardo era rimasto cieco e impotente nei labirintici abissi, talvolta ingannandolo, ed esso s'era morso più volte da sè, credendo di aver agguantato la preda. Capii nel suo sguardo che mai più le sue ali l'avrebbero portato verso le immense acque, capii nella fissità del suo iride che un accennato riflesso su un'onda l'avrebbe ferito più di cento soli da oggi in poi. E la colpa era stata solo mia.

By Eternauta.

martedì 12 giugno 2007

La creazione oltre l'analisi. Un dialogo reale tra due persone immaginarie. E viceversa

L'esposizione che segue è il risultato diretto di un problema creativo che si è delineato negli anni più recenti della mia esistenza, ovvero la mancanza sostanziale di valori fissi e oggettivi.
Il passaggio dal problema di carattere creativo ad uno di natura spirituale è stato molto breve.

Da sempre sono stato affascinato da quello che comunemente viene definito male, il cattivo, il brutto, sporco, malvagio e gratuito. Nel tentativo di cercare una giustificazione a questa mia tendenza ho cominciato a studiare tutte le forme opposte ad essa: un po' perché ingenuamente ritenevo di dover finire dalla parte dei buoni, un po' per comprendere e bilanciare la mia stessa natura controversa.

Per rendere quanto più velocemente possibile l'idea dei risultati a cui sono pervenuto nella mia ricerca, e del percorso che ho seguito, farò i nomi più importanti in cui mi sono imbattuto: il buddhismo, l'I-Ching e Nietzsche.

Ho compreso che le categorie di pensiero bene e male, assieme a qualsiasi altro tipo di catalogazione, sono del tutto arbitrarie e che Dio non esiste, quindi tutte le forme di pensiero conformi alla religione cattolica non sono oggettive e possono anche andare al Diavolo, che invece esiste.

Detto ciò, la mia cultura, i miei studi, la mia vita, sono finiti nel caos più totale: senza i principi di rettitudine non siamo null'altro che le gocce di un mare senza scopo né fine.
La rettitudine, a questo punto, può sembrare un bene necessario ma ingiustificabile.
Tale soluzione non mi ha mai soddisfatto appieno, quindi mi sono dedicato estesamente alla ricerca del senso della vita, partendo comunque dall'assunto che, se il male esiste, deve essere necessario e coltivato quanto il bene.

Il problema creativo che nasce sul terreno di queste considerazioni è che tutto quello che si può dire diventa ugualmente vero (o ugualmente falso, non so perché ma prediligo la prima dicitura).

Se tutto è vero, ogni tipo di tesi, anche la più aperta e onnicomprensiva, è confutabile:
per quanto elaborate e dettagliate possano essere, sono dei ritratti imparziali della realtà.
È per questo che ho maturato un rifiuto deciso per le monografie.

Prima di passare al dialogo, il vero corpo di questo scritto, devo spendere ancora due parole sulla soluzione al dilemma della parzialità espositiva: l'arte.
Nel caso specifico citato, in cui analizziamo i limiti di una monografia nel dipingere un quadro oggettivo della vita, contrapporremo ad essa l'arte di tipo letterario, per rimanere ovviamente in un campo d'azione familiare (è desumibile che chiunque sia arrivato fino a questo punto dell'esposizione non è un illetterato, nel senso che perlomeno sa leggere).

Le persone mentono, o meglio, cambiano, e naufragano, a seconda dei casi, tra quelle isole che abbiamo deciso di chiamare Bene e Male. Non è possibile rendere i lettori partecipi di tali cambiamenti tramite una monografia: essa tenderà ad esprimere, catalogare, oggettivizzare ogni teorema esposto, cristallizzandolo e limitando la sua natura di pensiero.

Un romanzo, invece, tramite l'uso dei suoi personaggi, permette ad un autore di esprimersi attraverso una moltitudine di pensieri, fatti o cose della vita non necessariamente in accordo tra loro.

A questo punto, spendere ulteriori parole per smontare il valore oggettivo degli studi espositivi, attraverso una esposizione, inizia ad essere paradossale, per cui devo necessariamente cedere la parola a uno strumento differente. Per l'occasione, eccovi confezionato un pezzetto di narrativa dialogica che completa e realizza quanto ho provato a dire poc'anzi.

Dave e Ianex - Un dialogo

Dave
Aiutami a mettere insieme due idee, va'.
Sto per scrivere una cosa.

Ianex
Vai.

Dave
Si tratta di un discorso contro certi discorsi, una critica al metodo divulgativo.
Voglio dire: comunque tu ti ponga in una monografia, in una critica, sei costretto ad assumere una posizione.
Si finisce sempre all'interno del cerchio: discorso, contro-discorso, contro-contro-discorso.

Ianex
Ah. Ma non hai paura che la tua decostruzione del metodo divulgativo finisca per rimanere intrappolata essa stessa in questa dinamica?
E soprattutto, che proponi?

Dave
Aspetta, alla proposta ci arrivo tra un secondo.
È praticamente un inconveniente mio personale: da quando ho capito che non ho più un punto di vista stabile sulle cose, ho maturato una certa insofferenza per il fine divulgativo.
L'essere umano è una creatura troppo volubile, inizio a temere ogni presa di posizione, fermo restando che quest'atteggiamento è una follia, ok?

Ianex
No, non è affatto una follia. Non per me. È alla base del metodo scientifico, e della speculazione filosofica.
Il problema, semmai, è quanta importanza vogliamo dare alla necessità di dimostrare una determinata tesi, perché la dimostrazione si serve proprio di quello schema discorso, contro-discorso, contro-contro-discorso che citavi prima.
E qual è il motivo per cui dimostriamo la veridicità di una tesi? Affinché sia condivisa, per persuadere la gente che la nostra è quella giusta. Ma se non vogliamo persuadere nessuno, se vogliamo solo esporre, allora non abbiamo bisogno di un metodo "scientifico". Possiamo, come suggerisci tu, servirci di uno strumento umanistico.

Dave
Sì, quello che dici è vero.
Però, attraverso la narrativa, l'autore scompare, si mimetizza, o meglio diventa un mondo.
Attraverso la narrativa è possibile esprimere una molteplicità che oltrepassa qualsiasi discorso espositivo.
Insomma, quello che voglio scrivere vorrebbe togliere un po' dello strapotere che posseggono le monografie al giorno d'oggi. Nello specifico, quello che è terribile e fastidioso non è la monografia a carattere scientifico, ma la monografia di tipo filosofico. Mi riferisco a quella.
Il mio problema, mentre mi rapporto allo scritto e alle idee, è che attraverso l'esposizione mi sento limitato; soprattutto perché, se affermo che è vera una cosa, non sempre posso sempre affermare nel rigo successivo che è vero il contrario.
E qui arriviamo alla mia proposta: vorrei dedicare dello spazio sul web a spiegare che secondo me, una soluzione al mio problema filosofico, creativo, educativo e spirituale è attraverso la narrativa.
Perché, dico io, se voglio informarmi sui cinesi, mi devo leggere le monografie di storia economica, se il film La stella che non c'è mi ha aperto gli occhi in molti modi diversi, e in maniera più completa?
Ovviamente il mio discorso non è solo narrativo nel senso letterario.

Ianex
Capisco, certo.
Infatti ho detto "umanistico" in senso lato.

Dave
Il mio vuole essere un tiro mirato a dichiarare l'arte in generale come uno strumento esplicativo che va veramente oltre, oltre ogni monografia mirata.
Voglio dire, la gente dovrebbe sapere che nell'arte c'è molta più informazione di quanta se ne può trovare in un documento espositivo.
Lo dimostrano le nostre dissertazioni su Gerry, un film che di informazioni in senso stretto ne ha zero.

Ianex
Il problema è che, facendo un discorso del genere, cadi in una contraddizione semiotica: primo perché utilizzi categorie di pensiero proprie del sistema che vuoi abbattere; secondo, in quanto postuli la sostituzione di una cosa con l'altra, che è come fare un torto all'arte stessa, che ha certi ambiti espressivi proprio perché gli altri campi sono indagati da forme di pensiero più appropriate, come quello scientifico.

Dave
Allora, invero volevo servirmi proprio di questo paradosso.
La stessa contraddizione insita nello scritto espositivo mostra i suoi evidenti limiti.

Ianex
Secondo me, puoi risolvere questa contraddizione di termini con l'esempio del documentario cinematografico, che tra l'altro è stata la prima incarnazione del cinema e che oggi invece consideriamo - erroneamente - un mezzo espressivo narrativo.

Dave
Per me quello è sbagliato.
Cioè, quello che dici è la monografia, ma fatta a film.
Io voglio solo annunciare al mondo che le chiavi per la comprensione del mondo non si trovano soltanto nell'esposizione pratica.

Ianex
Nononononononononnononono.
Non hai visto i veri documentari, se dici questo.
Non hai visto i documentari di Herzog, i vecchi documentari del muto.
Sul serio, guardati i veri documentari.

Dave
Il film documentario, per me che so' ignorante, è un cazzo di film dossier che ti racconta i cazzi per filo e per segno.

Ianex
No, vedi, rimedia a questa tua ignoranza.
Il documentario cinematografico è cosa ben diversa da quello televisivo.
Il documentario cinematografico è arte.

Dave
Insomma, però cerchiamo di capirci: io non cerco una soluzione.
Per me la soluzione esiste già.
Va solo colta, capisci che intendo?

Ianex
Sì, ma credo che ho colto nel segno: la soluzione è proprio il documentario cinematografico.
Nel senso che è un esempio valido, pratico, che comprova la tua tesi.

Dave
Ah, in quel senso, ho capito.
Ma il documentario cinematografico si confina alla cinematografia, mentre qui il problema è di carattere generale.
Insomma, le cose della vita sono indimostrabili.

Ianex
Procurati L'uomo di aran e Nanook l'eschimese, di Flaherty, il più grande documentarista della storia del cinema.
Tra l'altro, sono documentari che non vogliono dimostrare nulla, documentari non a tesi: quelli sì che sono fastidiosi.

Dave
Esatto, la tesi deve morire.
Ovvio, l'arte può anche essere strumentalizzata.
Vedi I promessi sposi: il romanzo più brutto della storia.
In realtà qua e là mi piace pure. Ma alla fine, dai, Manzoni è il cazzo mio.
La mia idea è che l'arte, può rappresentare la vita, simboleggiarla, perché essa stessa è un simbolo.

Ianex
Trovo la tesi marxista - secondo cui I promessi sposi siano arte strumentalizzata - molto riduttiva: anche perché poi nessuno ha strumentalizzato l'arte più del marxismo... forse solo la chiesa cattolica.

Dave
Non sapevo che questa fosse una tesi marxista.

Ianex
Secondo me, al contrario, I promessi sposi sono la dimostrazione di quanto l'arte possa farsi largo anche nelle pieghe di un'ideologia opprimente. Lo stesso vale anche per Ejzenstein, sovietico, e il cinema.
Non a caso, sia Manzoni che Ejzenstein, al di là dell'ossequio che offrono all'ideologia, sono autori di opere fortemente teoriche: Manzoni ha inventato la lingua italiana: I promessi sposi sono un pretesto per confezionare una ricerca linguistica e formale minuziosissima. Così come Ejzenstein inventa il montaggio cinematografico, e si serve, per farlo, del ritmo, quasi come i futuristi della rivoluzione.

Dave
Splendido.

Ianex
Maronna, quante ne sappiamo.

Dave
Guarda, tutta questa conversazione, i nostri batti e ribatti ci hanno permesso di rendere vivo lo stesso concetto di fondo, quello per cui volevo scrivere la monografia contro le monografie.
Voglio dire: noi potremmo essere due personaggi scritti.
E il nostro autore con evidenti crisi di identità può abbracciare tutte le posizioni del mondo attraverso una discussione.

Ianex
Sì, ma di quelli di fronte al quale lo spettatore s'inalbera dicendo: "Maddai, non sono credibili. Questi personaggi non sono reali. Sono troppo dotti, pittoreschi e letterati per essere credibili".

Dave
Questa sì è informazione.
Questa è l'arte, compa'. L'arte è un microcosmo.

domenica 10 giugno 2007

Discorso sull'Ozio contemplativo e il Divertissement

Il tema di questo mio primo intervento è il confronto tra divertissement ed ozio contemplativo o meditativo. In effetti mi sembra adeguato per inaugurare questo spazio, in quanto inteso come un luogo di ozio, sperabilmente "produttivo". La vita moderna ci lascia pochi spazi personali oramai, e, attenzione, ho detto personali e di proposito non ho parlato di tempo libero. Il tempo libero è un qualcosa di legato al concetto di lavoro, un non essere impegnati a livello molto superficiale. Al di fuori di quello, spesso, il tempo libero diviene un'occupazione esso stesso, qualcosa che deve essere impiegato, consumato, riempito. Il trionfo del divertissement, in ogni campo, della distrazione, del di-vertimento, del fuori di noi come luogo ideale in cui far trascorrere le lancette dell'orologio. Perché, in fondo, chi è che ha piacere a trascorrere il tempo con se stesso? Si dirà che lo facciamo per stare in compagnia, per conoscere, socializzare, ma avanti, uno sguardo nemmeno tanto approfondito sulla nostra realtà ci restituisce uno scenario affatto diverso, fatto di isolamento emozionale e conoscitivo verso l'altro, l'amico, la compagna/o, la famiglia. Nessuno sa nulla di noi, e quel che sa, non lo comprende, e viceversa. Provate a ricordare l'ultima volta in cui avete oziato, magari in compagnia di qualcuno. La frenesia e l'imbarazzo, posto che non le senta solo io, diventano quasi insopportabili, e sempre più poche sono le persone con le quali non ci mette a disagio il semplice oziare. Ovviamente non sto parlando del divertissement, che invece può alternare momenti di euforia a disperazione quasi. Intendo invece puntualizzare questa perdita di spontaneità, questo istinto ad essere in moto perpetuo per non ascoltare e gli altri, che può portare facilmente ad abuso di sostanze siano esse droghe, farmaci, alcool o dipendenze più sottili, compulsive, dal cibo, televisione, computer, videogame, per crearsi quello spazio dove sfuggire a se stessi, alla nostra coscienza ed istinto che ci braccano disperatamente. Il divertissement, appunto, surrogato della serenità interiore. Una spiegazione metapolitica-economica, macro, insomma, potrebbe far risalire la radice di ciò alla società dei consumi, al suo bisogno di individui insoddisfatti e sradicati dalla loro naturalità e dal loro mondo interiore, i quali rappresentano il consumatore perfetto, l'uomo moderno. Non so se sia possibile però che tale forza immensa di condizionamento possa essere solo esogena e definita, perché mi sembra invece un qualcosa di così totalitario nella nostra civiltà occidentale da apparire metafisica ed inspiegabile. Ogni qual volta entriamo in uno stato d'ozio, le pulsioni assaltano quello stato, e ci inducono o ad utilizzare tutta la nostra volontà per rimanere neutri e quindi togliendo energia ad un potenziale costruttivo interiore, o semplicemente ci sopraffanno in tante maniere subdole. Gli stimoli sono tanti, fini a se stessi e a portata di mano. Di fronte a tale schieramento di forze, il nostro io riflessivo, sempre più avvizzito, vacilla e cede sempre con maggiore facilità, e ad ogni stimolo soddisfatto ritorniamo indietro più assuefatti, meno liberi ed incapaci di crearci alternative. Le persone si inaridiscono, perdono la loro capacità di comunicare, non trovano conforto, comprensione umana, condivisione, e tornano strisciando ai loro egoistici divertimenti, in una spirale degenerante. Cos'è che ci spinge a comportarci così, è mai possibile che non si possa che essere rivali, nemici o alleati di interesse a questo mondo? E sì che sembra che i bisogni spirituali e i problemi esistenziali (vedi proliferare di sette e confessioni religiose, aumento dei suicidi, aumento delle malattie psichiche) sembrano essere forse alla cima delle nostre preoccupazioni, allora è davvero irreversibile il nostro alienamento? Da cosa è creato allora? Se siamo noi i responsabili, si può tornare indietro?


By Eternauta